Da qualche parte c’è una donna che ha partorito e che ora è alle prese con gli spasmi dei morsi uterini, con le lochiazioni – le costanti perdite di sangue che per circa un mese svuoteranno il suo utero da ogni residuo del bambino che ha ospitato e cresciuto – , con una probabile montata lattea a vuoto che le farà avere terrificanti dolori ai seni almeno finché non prenderà i farmaci che la bloccheranno, con le difficoltà a urinare e forse anche a sedersi per possibili lacerazioni del perineo e emorroidi anali, con un’altra serie di spiacevoli effetti collaterali tra cui il down causato dallo stravolgimento ormonale post partum, che non può nemmeno essere bilanciato dalla serotonina rilasciata dall’allattamento.
Questa donna ha scelto di affidare in sicurezza il bambino che ha partorito a una struttura apposita – con un atto di amore e rispetto per il futuro del piccolo, e insieme esercitando un proprio diritto insindacabile – contando sulla riservatezza promessa dal servizio. Una decisione delicata che ha preso avendo avuto circa 40 settimane per soppesarne i pro e i contro, e per cui si è ancora ancora presa il tempo unite a ufficializzare il riconoscimento (possono passare fino a 10 giorni per la dichiarazione di nascita all’anagrafe). Le ragioni sono solo sue e non sta a nessuno giudicare.
Invece da 48 ore questa donna – che sta già affrontando tutti i devastanti effetti psicofisici del puerperio che si sommano a tutte le emozioni che può averle portato la sua scelta – si sta trovando immolata su ogni media, tra analisi psicologiche un tanto al chilo sulla sua decisione e sulle quattro righe che ha scritto nel biglietto di accompagnamento, accorati appelli da campagna elettorale e pubblicitaria che cavalcano l’emotività per il proprio tornaconto, mansplaining di vario livello e volatili profferte di aiuto.
Partorirai con dolore e rischierai di avere il Gabibbo come padrino.
Cosa intende Ezio Greggio con aiutare la “vera mamma” (definizione che fa giustamente partire un embolo a chi ama e cresce i propri figli senza averli partoriti e non condividendone il dna), partendo dal presupposto che abbia solo bisogno di sostegno economico? Fornirle una scorta di pannolini e tutine per un anno? Sostenere le spese del nido? Aiutarla a pagare una babysitter mentre cerca lavoro o finisce gli studi? Accoglierla a braccia aperte a favore di telecamera per un quarto d’ora di gloria con liteo fine di ospitate tv e magari un crowd funding finché i riflettori punteranno su un’altra storia? (Che però non riguardi naufragi di bambini non italiani e non caucasici, per carità).
Diventare madri è una scelta dirompente anche se si ha (o se si pensa di avere) raggiunto una stabilità economica, professionale, familiare. Diventare madri è sconvolgente anche quando lo si desidera con tutte se stesse. Diventare madri è una scelta letteralmente per la vita, ed è un atto di volontà e di coraggio supremo anche decidere che non è la propria strada.
Perché l’Italia resta profondamente patriarcale e paternalista. Quel che conta per i politicanti è che le donne non abortiscano – ma, a quanto pare, che nemmeno affidino i bambini ad altre famiglie se ritengono di non essere nelle condizioni di allevarli adeguatamente. Quel che succede dopo è per lo più propaganda di parole a vuoto, che si scontrano con le nude statistiche che regolarmente servono a fare qualche titolo del giorno – senza che il giorno dopo nulla cambi davvero e che sempre raccontano come l’Italia non sia un paese per madri.
Dall’ultima indagine di Bankitalia del 2022 che si trova facilmente googlando “quanto costa avere un figlio”, la risposta è circa 640 euro al mese, circa 770 all’anno, circa140mila euro fino a 18 anni. Come minimo.
Da uno studio Istat pubblicato nel 2022 (cito un articolo del Sole) “Nel 2021 le donne tra i 25 e i 49 anni risultano occupate nel 73,9% dei casi se non hanno figli mentre lo sono nel 53,9% se hanno almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni”. Lavora una donna con figli su due, media nazionale.
Le donne che diventano madri subiscono la (con buona pace degli anglofobi) la Motherhood Penalty (riprendo un articolo di NostroFiglio del 2022 che fa anche un quadro per l’Italia): penalizzazione del reddito, arresto di carriera, perdita del lavoro per scelta o imposizione soft (ah, le “dimissioni volontarie”), difficoltà ad entrare o rientrare nel mondo del lavoro. E questo anche se hai una stabilità familiare alle spalle. Se non ce l’hai, beh.
A proposito, gli ovuli non si fecondano da soli. Ma nessuno ha mezzo pensiero per quello che ha fornito lo spermatozoo che ha portato questa donna a trovarsi incinta. È lei che da due giorni sta venendo messa in croce da pletore di benpensanti che tra una settimana penseranno ad altro (probabilmente a commentare e giudicare il prossimo caso di cronaca nera che potrebbe coinvolgere una donna e la sua prole). Domande e commenti sul “vero padre”, per seguire il Greggio pensiero, non ne fa nessuno. La maternità è affare pubblico perché è un processo che avviene nel corpo delle donne.
Facendo un’altra ricerca rapida e superficiale su Google, un articolo di inSalute News affermava che, dai dati emersi dal Congresso nazionale SIC-Società Italiana della Contraccezione del 2018, “1 gravidanza su 4 in Italia è indesiderata e che il 50% esita in una interruzione volontaria di gravidanza”.
A quanto riporta Skytg24 in un articolo di ieri (cito), “In Italia i bambini non riconosciuti alla nascita, secondo le stime della Società italiana di neonatologia, sono 300 ogni anno. Nel 2021 le dichiarazioni di adottabilità di minori sono state 1072, di queste in 173 casi non era nota l’identità dei genitori”.
La “Culla per la vita” della Mangiagalli è stata usata tre volte in sedici anni. Capisco (relativamente) che l’ufficio stampa della Mangiagalli ne abbia dato notizia, perché è senz’altro una notizia ed è un servizio a modo suo importante. Ma lo stomachevole accanimento mediatico che ne è seguito difficilmente ne incentiverà l’uso sereno alla prossima donna alle prese con una decisione così dolorosa e – soprattutto – personale.
