C’è stato un tempo in cui credevo di avere potenzialità inespresse che avrei potuto esprimere, se solo avessi trovato la chiave per aprire la porta alla stanza in cui erano chiuse.
C’è stato un tempo in cui la mia giudice interiore – bastardissima, severissima sempre, un’eterna zavorra di “Non sei capace” – era comunque meno raffinata e riuscivo a trovare modo di aggirarla.
C’è stato un tempo in cui ho davvero creduto di poter fare di più e di meglio. In cui ho pensato che avrei potuto essere una giovane laureata – poi sono andata fuori corso. Una giovane esordiente o almeno un’esordiente under 30 . poi è arrivata la prima depressione. Poi una stella nascente nei miei 30, che tanto ormai si è ancora praticamente adolescenti a 30 anni – e mi sono messa in discussione come mai prima e ho iniziato a *farcela*, credevo.
Poi i 30 sono accaduti così infarciti di eventi che sembrano essere durati vent’anni. Il tumore, il mobbing, il cambio fino al rifiuto di un lavoro che non faceva per me e lo schiaffo al Buon Posto, poi il rientro a casa dei miei con un violentissimo “Ritorna al Via” che sapeva di sconfitta, poi il viaggio in India a trovare me stessa, poi i lavoretti da precaria, poi quella che sembrava l’Occasione, poi la malattia, l’agonia, la morte di M e la seconda depressione. Lo spartiacque tra il prima e il dopo. Poi cose belle: Joe, l’amore. Un lavoro che amavo e odiavo.
E ho smesso di essere una giovane trentenne. Sono diventata una mamma quarantenne. E le situazioni mi hanno portato a concentrarmi su quello. E la maternità è diventata il grosso del mio mondo. In una costante lotta interiore perché Quello che fai ti definisce, e io non ero più quella di prima.
Mentre cercavo un equilibrio tra essere madre e tornare a essere lavoratrice, tra i desideri di quel che non avevo e dare per scontato quello che avevo raggiunto, è arrivato il 2020. E nel giro di 10 giorni ho scoperto di essere incinta, è scoppiata la pandemia e ho perso le due collaborazioni che avevo in piedi.
Ora ho 45 anni. Ho due figlie che sono il meglio che abbia mai fatto nella vita, che danno un senso a tutto quello a cui ho rinunciato, che saranno adolescenti quando io avrò 60 anni.
Non sono più una giovane dalle potenzialità inespresse, ma cerco ancora come esprimerle. Continuo la lotta con la mia formidabile critica interiore continua senza sosta. Continuo a cercare quella chiave. Credo ancora di poter fare di più e meglio.
Ora non lo devo solo a me. Lo devo a loro.